"Si è incominciato, trent' anni fa, con Vermicino, quando la realtà della morte in diretta di un bambino è stata spettacolarizzata. Si è proseguito vent' anni fa con le immagini verdastre dell' attacco a Baghdad, che hanno indotto il sociologo Jean Baudrillard a sostenere che la Guerra del Golfo non era mai esistita, ed era una finzione televisiva, ripetuta all' infinito. Poi, i reality. E infine, siamo all' oggi, attraversando lo schermo proprio come Alice nel paese delle meraviglie attraversa lo specchio, si direbbe che il Premier, nel Bunker di Arcore, abbia realizzato una versione realitystica dei format televisivi proposti per decenni dalle sue televisioni. Ma attenzione: il realitysmo non è un semplice prodotto nazional-postmoderno. Ha un cuore antico quanto il desiderio di illusione proprio dell' essere umano, e quanto il gusto di mistificazione e le sue convenienze. Così, il realitysmo si affaccia alla nostra mente già da bambini, quando ci chiediamo se le cose intornoa noi siano vere o se stiamo sognando, e si sviluppa nelle favole con cui speriamo di cambiare il mondo. Di per sé, è soltanto una variante del solipsismo, dell' idea che il mondo esterno non esista, che sia una semplice rappresentazione, magari a nostra disposizione. Sulle prime sembra un momento di grandissima emancipazione: siamo tutti liberi dal peso del reale, possiamo creare noi stessi il nostro mondo. Alla fine, però, uno si sente solo. "
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